L’intervista esclusiva che è stata inserita nel numero 213 del nostro giornale cartaceo
Abbiamo incontrato Sabrina Abbas Assaf col marito Fadel Abbas, in compagnia delle loro due figlie Layan di 14 anni e Ilya di un anno e due mesi, palestinesi di origine, ma castelbuonesi d’adozione; abbiamo chiesto loro di raccontarci come sono arrivati fin qui e cosa vuol dire vivere lontani dalla propria terra mentre una tragedia di proporzioni epiche stravolge la vita delle loro famiglie e dei loro connazionali.
Sabrina, parlaci un po’ di te.
“Sono figlia di padre palestinese e madre giordana, ma sono nata in Italia. Noi arabi nati e cresciuti nello stivale ci definiamo “italiani di origine araba”. Ho doppia cittadinanza giordana e italiana. I palestinesi che dal 48′ in poi si sono spostati non hanno più avuto diritto alla loro cittadinanza, quindi chi proviene dalla Palestina non può avere un passaporto palestinese.
Io posso entrare in Terra Santa come italiana, mio marito come palestinese non può.
Le terre dei palestinesi sono state espropriate. L’ONU riconosce loro il diritto di ritorno, però non essendoci uno stato vero e proprio non esistono passaporti palestinesi.
Io sono cresciuta a Modena, ho studiato in Giordania ed ho fatto la volontaria in Palestina.
Facendo volontariato lì ho visto tutte le umiliazioni e mortificazioni che il popolo palestinese deve subire quotidianamente da decenni; se un qualunque palestinese che non sta a Gaza, ma fuori, deve andare a trovare il fratello che sta in West Bank, nello stesso quartiere, a duecento metri di distanza, ha serie difficoltà. Le famiglie sono separate. E chi deve andare a trovare i familiari, facendo solo duecento metri, deve passare da un checkpoint della polizia di ore ed ore; in questi checkpoint, a volte, si trovano non soldati, ma milizie vere e proprie, gruppi armati messi lì per umiliare i palestinesi che entrano. L’atmosfera di controllo è molto pesante. A Gaza, una volta, ho avuto l’istinto di lavarmi il viso con l’acqua del lavandino e ho notato che l’acqua dei rubinetti, quella potabile, è salatissima, perchè non hanno depuratori; praticamente Gaza è una prigione a cielo aperto. Se sei malato non hai accesso alle cure che ti servono, oppure devi chiedere permessi ed hai difficoltà a reperire i medicinali. A Gaza la corrente non viene erogata tutto il giorno, al massimo per due ore. La situazione è proprio al limite della vivibilità, ma ci si abitua, come ci si abitua anche alla miseria, perchè se ci nasci e ci cresci quella diventa la tua realtà. Noi italiani possiamo immaginare il nostro futuro, un bambino italiano può dire: <<da grande farò…>>, se chiedi ad un bambino palestinese: <<Cosa vuoi fare da grande?>> ti fisserà imbambolato senza saper rispondere. Non sanno parlarti del futuro perchè intuiscono che molto probabilmente non ne avranno uno. Lì, quando chiedi a un bambino qual è il suo più grande desiderio, ti risponderà: “Che mamma e papà rimangano in vita”. In guerra nessuno sa mai se il prossimo bombardamento o qualche atto di violenza improvviso ti porterà via famiglia, casa e tutto ciò che hai. E questa situazione va avanti da tanto, troppo tempo”.
Insomma, la speranza di assistere alla fine di questo conflitto sembra più un’utopia che una possibilità.
Sabrina: “Eh sì, addirittura nella nostra cultura questo momento arriverà nel giorno del giudizio; quindi non è previsto”.
Tuo marito Fadel, invece, com’è venuto in Italia?
Sabrina:“Gli ho fatto lasciare lavoro e famiglia per seguirmi. Volevo a tutti i costi rientrare in Italia e farci crescere le nostre figlie. Lavorava a Cipro, nella parte greca, poi abbiamo deciso di trasferirci qui. Lui si trova bene e se io sono contenta è felice anche lui”.
Fadel, ti manca la tua famiglia d’origine? Dove vivono i tuoi parenti?
Fadel: “Certo che mi mancano. Alcuni sono in Giordania, altri sono sparsi in giro per il mondo per via della diaspora”.
Immagino che la cosa più difficile sia sapere di non avere un posto in cui tornare da poter chiamare “casa”. Come se la propria identità sia ibrida e smembrata.
Sabrina: “Lui è originario di Nazaret, il paesino in cui è nata la Madonna. Nel 1993 gli hanno dato un permesso per tornarci perchè la nostra famiglia ha ancora terreni lì, per la maggior parte espropriati, ma alcuni sono ancora di nostra proprietà. Abbiamo dei documenti che lo provano, per cui i nostri familiari hanno fatto causa al governo israeliano per cercare di riottenere le terre espropriate”.
Fadel : “Fino al 1995 ci hanno permesso di tornare in Palestina, poi hanno chiesto l’evacuazione di tutta la famiglia ed a Nazaret è rimasta solo una zia”.
Quindi al senso di perdita d’identità dovuto alla diaspora si aggiunge l’amarezza di non poter rivendicare ciò che è proprio, le terre della propria famiglia e dei propri avi.
Sabrina:“Esattamente. Sua madre, come anche la mia, e come tutte le altre donne, vanno ancora in giro con la chiave di casa, sperando di poter rientrare un giorno in quelle che erano le loro dimore, pur sapendo che le loro case e i loro terreni sono stati espropriati. E’ un simbolo di speranza, come a voler dire: “Prima o poi torneremo”.
Forse è anche un modo di rivendicare qualcosa di proprio e di difendere la propria identità, seppure di fatto non si può riaver indietro nulla. Per noi che osserviamo queste vicende dall’esterno è difficile comprendere le sensazioni di vuoto e privazione provate da un popolo in esilio.
Sabrina: “E’ difficile anche per noi guardare in fondo a noi stessi. L’islamofobia non aiuta a divulgare questo messaggio perchè la propaganda che c’è dietro è molto forte”.
Tu ritieni che in questo momento l’Italia sia islamofoba?
Sabrina: “Non solo l’Italia, ma tutta l’Europa, lo è, in questo momento storico. Anzi l’Italia molto meno anche se io, a dire il vero, da bambina, ho subito il razzismo in prima persona, ma vivevo al nord; sono sicura che in Sicilia sarebbe stato diverso, perchè l’accoglienza ricevuta qui non l’abbiamo avuta mai in nessun’altra parte d’Italia. In alcune regioni dello stivale c’è molta paura dei musulmani. I media e i telegiornali hanno una loro parte di responsabilità nell’averla fomentata. L’Italia è pur sempre vassalla del Grande Fratello americano e le notizie sono veicolate attraverso un filtro ben preciso. Per cui il mondo islamico viene considerato un mondo di terroristi. Tornando però alla Palestina, quello che la maggior parte delle persone ignora è che una grande percentuale della popolazione, lì, è costituita da cristiani, che in massa hanno battezzato i loro figli durante questa guerra. Anche molte chiese sono state bombardate, c’è anche una minoranza di ebrei palestinesi che sono perseguitati dagli israeliani da anni, per cui la questione non è religiosa, ma politica e territoriale. La religione è un pretesto per creare divisione e disarmonia.
La cosa più triste è il numero esorbitante di bambini palestinesi trucidati nel corso di questa guerra assurda. E’ giusto che il mondo sappia che siamo arrivati al numero sconcertante di 36.439 palestinesi massacrati a Gaza dallo scorso ottobre, il 70% dei quali donne e bambini. A molti bambini le teste sono state tagliate o sono stati uccisi in modo altrettanto barbaro; ciò vuol dire che non sono stati semplici soldati, ma veri e propri psicopatici a compiere queste azioni efferate. Per questa guerra Israele ha assunto ottantamila stranieri, mercenari psicopatici di tutto il mondo, con voglia di uccidere a sangue freddo, senza un’etica o una morale; persone disposte a sporcarsi le mani di sangue non per difendere il loro territorio, ma per soldi. Molti soldi, perchè sono pagati qualcosa come seimila euro a settimana per sgozzare bambini e compiere ogni genere di atrocità. Noi abbiamo visto video tremendi che ci arrivano dalle nostre famiglie, dai cugini e dagli zii.
E’ scioccante che il mondo chiuda gli occhi dinnanzi a tutto questo.
Forse adesso qualcosa si sta muovendo, ma l’opinione pubblica segue le mode del momento e si ricorda delle tragedie di determinati popoli in base ai trend. Le situazioni che balzano agli onori della cronaca sono quelle che possono essere strumentalizzate meglio in base alla situazione politica”.
In questo momento, però, si è tornati a parlare abbastanza della questione palestinese.
Sabrina: “Sì, perchè la generazione Z, i cosiddetti millennials, sono svegli, stanno protestando o occupando le università, alcuni si sono presi pure le manganellate, come è successo durante le proteste in Toscana”.
Secondo te perchè il nostro governo e tutti i governi occidentali vogliono mettere a tacere queste voci del dissenso?
Sabrina: “Il nostro governo vende tantissime armi e ha tutto l’interesse a non schierarsi; segue i diktat dell’ Europa, così come fanno gli altri governi occidentali. Gli italiani che si son svegliati sono disgustati all’idea di star sponsorizzando le guerre in corso finanziandole con le loro stesse tasse. Hanno sempre odiato le guerre perchè i loro nonni le hanno vissute, e ora si trovano ad aver le mani sporche di sangue nella massima inconsapevolezza e senza averlo scelto. Eppure, come dice l’articolo 11 della Costituzione italiana: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”. E’ chiaro che il governo italiano non rappresenta l’italiano medio. Gli italiani non sono guerrafondai. L’Europa, poi, guarda con interesse alle guerre che le sono più prossime. Quando è il popolo ucraino, bianco e cristiano a soffrire si mobilita l’intera l’opinione pubblica, quando è quello arabo – palestinese, a prevalenza musulmana, non scatta lo stesso meccanismo empatico. Anche il popolo palestinese detesta la guerra, ma noi siamo stati colonizzati per cui dobbiamo difenderci e continuare a resistere. Noi palestinesi la chiamiamo “resistenza”. Per l’occidente filoamericano, e quindi filoisraeliano, i partigiani palestinesi che continuano a combattere sono semplicemente “terroristi”. Praticamente si tratta di autodifesa, ma per i media schierati politicamente si parla di terrorismo”.
Fadel: “ Noi non siamo riconosciuti come esseri umani, come popolo, però lo siamo. Nei paesi arabi, che hanno accordi con Israele, l’informazione è controllata e non c’è diritto di parola, e quando qualcuno di noi prova a parlare di Palestina viene fermato e bloccato dai servizi segreti. Non c’è assolutamente diritto di espressione e non possiamo affrontare il discorso pubblicamente”.
Sabrina: “A Fadel per tre anni è stato prelevato il passaporto perchè quando era universitario fu uno fra gli organizzatori di una marcia per la Palestina. Era presidente di un’associazione studentesca culturale palestinese e da quel momento è sempre stato tenuto d’occhio, Lui ha studiato a Karachi, Pakistan, e a Teheran, Iran.
E’ stato in prigione per aver parlato apertamente della questione palestinese e per aver protestato.
Il governo israeliano, comunque, è stato accusato di crimini di guerra dalla Commissione ONU e da diversi tribunali internazionali. Israele vuole tutto il territorio e lo sterminio completo di tutti i palestinesi, non vuole accordi, questa è una pulizia etnica vera e propria come quella operata, a suo tempo, dei nazisti. Nel 1949 uscì una legge, la risoluzione per i due stati. I palestinesi accettarono questa risoluzione pur di non restare in guerra, ma Israele non rispettò gli accordi ONU. Poi ci furono ulteriori conflitti, ed il resto è storia”.
Che notizie arrivano da Gaza in questi giorni?
Fadel: “La situazione è al limite, la gente muore di fame, non mangia da giorni.. Non ha più case nè energia elettrica . E’ rimasto un solo ospedale non bombardato, anzi mezzo ospedale. Non hanno più nulla, stanno operando i bambini senza anestesia, che non muoiono per le bombe, o per le operazioni, ma per il dolore. E chi non muore bruciato vivo, muore per la fame o per la sete”.
Una situazione angosciante. Cosa possiamo fare da qui per sensibilizzare l’opinione pubblica?
Sabrina: “Continuare a parlarne, continuare a chiedere ai nostri goverrni di non essere complici di questo genocidio, a parte che in cinque anni, nelle guerre di tutto il mondo non sono stati uccisi così tanti bambini come in soli quattro mesi a Gaza”.
Fadel: “Da noi c’è un modo di dire <<Nessuno muore di fame>>, e invece il paradosso è che lì adesso stanno morendo veramente di fame. Per cui questo detto non ha più fondamento. A Gaza sta crescendo la speranza della gente nella resistenza. Se ci fossero delle nuove elezioni sicuramente vincerebbe Hamas, perchè lo scorso 7 ottobre, quando Hamas ruppe le barriere e le persone cominciarono ad entrare in massa nei loro territori, molti lessero l’evento come l’inizio di una possibile liberazione. Questo accadimento ha dato ai palestinesi la sensazione di un maggiore presenza da parte di Hamas. Non hanno nessun altro che li possa difendere”.
Hamas viene considerato un gruppo terroristico in Occidente.
Sabrina: “I tg lo fanno passare per gruppo terroristico, ma Hamas non ha commesso nemmeno l’1% delle atrocità commesse dagli israeliani. Secondo l’ONU Hamas non è un’associazione terroristica, ma di resistenza popolare, ed infatti è l’unico meccanismo di difesa dei palestinesi, praticamente sono dei partigiani. Se volessimo mettere su una bilancia i crimini di guerra di Hamas e quelli di Netanyahu questi ultimi peserebbero molto, ma molto di più. I cristiani di Gaza e di tutta la Palestina combattono con Hamas, che non è formato solo da musulmani, ma anche da cristiani, che sono i primi a volere la liberazione di quella terra. In quell’area c’è sempre stata una convivenza pacifica tra musulmani, cristiani ed ebrei. Nella famiglia di mio marito ci sono sia cristiani che musulmani. In un territorio come Nazaret sono tutti imparentati”.
E andiamo a te, Layan, sei giovanissima, ma già matura e consapevole delle sofferenze del tuo popolo. Parlaci di come vivi questa situazione essendo figlia di palestinesi.
Layan: “Mi chiamo Layan, ho 14 anni, frequento l’ultimo anno di scuola media, e sono nata a Modena, che è anche la città natale di mia mamma. Per parecchio tempo ho fatto la spola tra Italia e Giordania, la mia madrelingua è l’arabo, sono palestinese di Nazaret anch’ io e voglio dire la mia su quel che sta succedendo a Gaza, una cosa di cui si dovrebbe parlare più spesso perchè riguarda tutto il mondo. Dopo il 7 ottobre scorso, l’argomento è tornato d’attualità ma questa situazione va avanti da decenni. In certi luoghi, quando diciamo di essere palestinesi, la gente ci teme, ma noi non siamo terroristi, siamo il popolo della pace. Riguardo all’attuale situazione di Gaza, i media dicono che tutto è iniziato con l’attacco terroristico di Hamas, ma non è propriamente così. Per le persone che possono capire la questione, Hamas è la resistenza palestinese che cerca di difendere la popolazione. Gli israeliani hanno definito Hamas un gruppo di terroristi, ma se i primi entrano nelle case e fanno del male ai palestinesi che si aspettano, che la gente non si difenda? Ne ho sentito parlare da un bambino di 5 anni. Lui mi raccontò che gli israeliani sentrarono in casa sua avvicinandosi alla madre incinta. La donna disse: “Non avvicinatevi a me, aspetto un bambino”, allora le spararono direttamente sulla pancia davanti a questo figlio di soli 5 anni”.
Sabrina: “I bambini che hanno assistito a queste scene cosa pensate che faranno da grandi?”
Layan: “ Gli israeliani vogliono sterminare soprattutto i bambini perchè sono la generazione futura della Palestina, ma loro non sanno che la Terra Santa, è protetta da Dio e così sarà per sempre. Qualunque cosa accada noi continueremo a sentire, in fondo al cuore, che la Palestina è casa nostra . Io sono qui, ma solidarizzo con la mia famiglia lontana e con chi sta passando questo inferno. Ognuno di loro è mio fratello, mia sorella, un mio familiare. Ho un’amica strettissima che vive in Cisgiordania, a volte riesce a scrivermi, a volte no. Qualche giorno fa mi raccontò che suo fratello è stato prelevato dall’esercito. Prendono anche i minori senza alcun tipo di accusa. Hamas ha chiesto agli israeliani nel trattato: “Liberate tutte le donne e i bambini”, ma essi non hanno voluto liberarli. Ho visto tanti video dalla Cisgiordania in cui ci sono bambini a cui sparano per strada mentre giocano, solo perchè palestinesi. Li portano in carcere, li maltrattano a vita, solo per questo, senza che abbiano alcuna colpa”.
Sabrina : “Il governo sionista ha permesso a chiunque sia in possesso di un passaporto israeliano di camminare armato. Non sono solo i mercenari ad uccidere. Per legge qualsiasi cittadino può uccidere i palestinesi senza passare guai, è autorizzato”.
Layan: “Netanyahu ha detto che dopo la conquista di Gaza e della Cisgiordania vuol andarsi a prendere l’Egitto e i paesi confinanti. Questa è una mentalità da prevaricatore. Loro hanno subito le azioni dei nazisti, in passato, ma ora le stanno reiterando diventando i carnefici! Attualmente anche gli ebrei israeliani si schierano contro le azioni di Netanyahu. A Tel Aviv la gente sta manifestando, ma l’esercito soffoca queste manifestazioni. Il popolo è contrario perchè capisce che il governo sta commettendo un genocidio. Io parlo di quel che sto vedendo accadere ai miei familiari ed amici, persone che conosco e che vivono lì trovandosi nel bel mezzo di questo caos. Anche in Cisgiordania può accadere che mentre stai a casa un israeliano bussa, ti butta fuori e se non vuoi uscire dalla porta ti ammazza”.
Sabrina: “Per noi la notizia più traumatica è quella che ci è giunta quest’anno. Abbiamo saputo che un nostro cugino, un dottore che lavorava in un ospedale di Gaza, era rimasto l’unico sopravvissuto insieme a 150 neonati in incubatrice con la corrente elettrica staccata. Ha dovuto guardare questi 150 bambini morire di stenti uno ad uno. Tutti gli dicevano. <<Perchè non lasci l’ospedale e non vai a nord come tutti gli altri?>>. Lui: <<E tutti quei bambini che avrei sulla coscienza?>>. Sua moglie lasciò la zona partendo verso il nord coi figli, e lui è rimasto lì finchè non è stato martirizzato..”.
Layan, vedendo le cose che stanno accadendo ai tuoi familiari e amici, cosa vorresti dire al mondo?
Layan: “Aprite gli occhi, una volta per tutte. Ho solo 14 anni, ma la situazione del mio paese di origine mi tocca personalmente. Ho molti cugini di secondo grado, ne avrò più di quaranta, avrei voluto conoscere anche quelli che sono in Palestina”.
Sabrina: “Noi palestinesi in giro per il mondo ci sentiamo inutili e arrabbiati, viviamo con una sorta di senso di colpa. Personalmente ho sentito l’esigenza di fare qualcosa nel mio piccolo. Sono stata volontaria in Palestina con una ONG, “Vento di Terra”, partecipando ad un progetto per la costruzione di una scuola di gomme, dato che il governo israeliano ci impediva di costruire scuole per i bambini beduini nei deserti, perchè la legge prevede che non si possa usare cemento. Quella scuola rimase in piedi per almeno 7 anni, poi fu demolita, seppure fosse l’unica speranza per quei bambini”.