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Giù le mani da Harvard: la cultura scientifica non può essere soffocata dalla politica

Già da febbraio scorso l’autorevole periodico americano Nature aveva lanciato il grido di allarme sui drastici interventi restrittivi messi in atto dall’amministrazione Trump 2.0 (2° mandato), mirati al taglio radicale della spesa pubblica in termini di finanziamenti e di licenziamenti di personale, nei riguardi di importanti agenzie di ricerca scientifica, dal campo della medicina (National Institutes of Health) alla scienza di base (National Science Foundation), alla scienza ambientale (National Weather Service, Environmental Protection Agency), agli aiuti umanitari esteri per la prevenzione e la cura delle malattie globali (Agency for International Development). Il tutto effettuato per mezzo dei fantomatici “ordini esecutivi” presidenziali, alcuni dei quali peraltro bloccati temporaneamente da giudici federali che ne contestano l’illegalità: in tale ambito rientra il più ampio e triplice scontro dell’attuale amministrazione trumpiana sia con il sistema giudiziario, sia con il mondo dell’informazione (i media mainstream), sia con le urgenze di tutela ambientale (i programmi delle Nazioni Unite sullo sviluppo sostenibile).        

Inoltre effetti sorprendenti nella comunità scientifica ha destato l’uscita degli Stati Uniti dall’Accordo di Parigi del 2015 per il contenimento delle emissioni climalteranti, il ritiro dall’Organizzazione Mondiale della Sanità e la revoca dell’adesione all’Agenda ESG (Environmental, Social and Governance), contenente i criteri di valutazione di impatto ambientale, sociale e di gestione di una impresa.

Quanto sopra, definito dal periodico Le Scienze un “assedio alla scienza”, non nasce in modo imprevisto: è infatti l’attuazione di Project 2025 (https://www.project2025.org), un manuale di 922 pagine, strutturato in termini di raccomandazioni per definanziare la scienza, redatto nel 2023 dalla Heritage Foundation, un centro studi di ideologia conservatrice. Lo studio chiede al presidente U.S.A. di “smantellare l’apparato amministrativo” con la pesante riduzione degli attuali due milioni di posti di lavoro negli enti di ricerca, puntando in fondo alla riforma del sistema educativo statunitense fino al livello universitario: si mira quindi al cuore della cultura del Paese, proprio laddove si opera da un lato per l’innovazione tecnologica e dall’altro per la crescita delle scienze umanistiche, autentici templi della sacralità dottrinale, che trovano sbocchi socio-economici nella qualità di vita delle popolazioni. 

Eppure l’offensiva trumpista persegue il tentativo di soggiogare alla sua ideologia suprematista i luoghi della ricerca e dell’insegnamento, calpestando i valori di libertà del pensiero innovativo e dell’istruzione accademica: i tagli finanziari hanno colpito per prima la Columbia University e poi tante altre istituzioni di eccellenza fino alla più antica e prestigiosa università Harvard, alla quale sono stati congelati 2,2 miliardi di fondi federali per essersi rifiutata di accettare le regole dell’amministrazione Trump, dando l’esempio alle tante altre storiche università, come Yale e Stanford. Nel vedere le immagini di protesta nel campus di Harvard, chi scrive prova rabbia, ricordando l’aria sapienziale che lì si respira e tornando indietro con la memoria al lontano 1979 (…46 anni fa!), quando ho frequentato al Massachusetts Institute of Technology l’autorevole corso in sicurezza nucleare, diretto dal prof. Norman Rasmussen, pioniere dell’analisi di rischio degli impianti nucleari. Anche in famiglia abbiamo da ricordare con mia figlia Roberta e suo marito prof. Federico Butera le loro visite ad Harvard nell’ambito delle scienze sociologiche: i corsi di approfondimento in materia di “Gestione della Conoscenza” (Knowledge Management), applicata alla loro attività specialistica in organizzazione aziendale.  

Dalle pagine de La Stampa Elsa Fornero titola così: “Ad Harvard il tycoon calpesta il sapere” con la scusa che nelle università si annida la sinistra liberal, vedi caso proprio nei luoghi fucina di centinaia di premi Nobel e premi Pulitzer, eccellenze della ricerca, che spazia dalla medicina alla tecnologia, dall’istruzione all’economia. Eppure il sito web di Harvard si apre con il motto “La ricerca alimenta il progresso”, un progresso che deve essere sostenibile e che rispetti i diritti universali e l’equità, che in meno di 150 anni ha condotto da una realtà fatta solo di materia a quella strutturata  in materia ed energia, fino alla realtà odierna composta di materia, energia e informazione: da qui la necessità di guardare in prospettiva attraverso una nuova alfabetizzazione etica e tecnologica, come sostiene padre Paolo Benanti, teologo, docente alla Gregoriana di Roma e all’università di Seattle. 

Allora lasciare libertà di pensiero al mondo della ricerca significa difendere i principi fondamentali su cui si fonda la democrazia. Se poi il signor Trump vuol venire a Roma per parlare del futuro dell’Europa, è il benvenuto: gli ricordiamo comunque che Roma rimane Caput  mundi … quindi punto di riferimento libero e inderogabile per tutti i più svariati ambiti della cultura. 

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