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L’eredità di Papa Francesco: la testimonianza del francescano castelbuonese padre Paolo Fiasconaro

Nella scorsa settimana il mondo intero ha seguito con straordinaria partecipazione le esequie dell’amato Papa Francesco, da molti di noi, credenti e non credenti, considerato un padre, un fratello, un amico di cammino. E già, questo Papa è stato un uomo della strada, quando da solo, il 27 marzo 2020, in una piazza San Pietro vuota, impartisce la Benedizione Urbi et Orbi invocando davanti al Crocefisso di san Marcello la fine dell’emergenza sanitaria da Covid-19; inoltre attiva presenza alle tante Giornate Mondiali della Gioventù sulle vie Paesi lontani e in ultimo, la mattina di questa Pasqua sulla stessa piazza San Pietro per lasciare un saluto alle migliaia di fedeli festanti. Alle nostre orecchie risuona ancora il suo reiterato invito: “Non fermarsi: andare! Andare per le strade delle vostre città e dei vostri Paesi, e annunciare che Dio è Padre e che Gesù Cristo ve lo ha fatto conoscere, e per questo la vostra vita è cambiata: si può vivere da fratelli, portando dentro una speranza che non delude.” Messaggi per tutti … “proprio tutti, tutti, tutti!”.

E noi oggi, residenti a Roma, avendo avuto l’opportunità di incontrare Papa Francesco in molteplici occasioni, potremmo riferire del suo spiccato carisma affabile e del suo sguardo benevolo da “prete di campagna”. Ma di fronte alla ricchezza dottrinale di “Franciscus” e al suo pontificato di forte impronta cristologica, preferiamo andare alla ricerca di una voce di autentica vicinanza (…un francescano!) e di una testimonianza di alti contenuti teologici: per questo ci rivolgiamo all’amico padre Paolo Fiasconaro, di Castelbuono, dal 2013 direttore del Centro missionario francescano in Roma e direttore della rivista “Il Missionario Francescano”.

Padre Paolo, per comprendere i tuoi rapporti pluriennali con la Santa Sede vaticana, ci farebbe piacere un tuo excursus sulle attività pastorali svolte in Sicilia e ora da 15 anni a Roma.

“Sono partito da Castelbuono quando avevo 11 anni per entrare in seminario dei frati Conventuali nel 1955 a Comiso, trascinato e motivato dall’esempio di una famiglia tradizionalmente francescana, avendo al suo interno 8 frati sacerdoti, dei quali 3 siamo ancora viventi: P. Fedele, P. Paolo e P. Felice. 

È la nostra famiglia Fiasconaro, con i 5 frati defunti: P. Giuseppe (senior), P. Giuseppe (junior), P. Antonio, P. Antonino, P. Mariano ed anche i 2 preti secolari don Vincenzo e don Martino. Si può affermare che siamo “una dinastia” nata da profonde radici religiose e figli di un paese che ha coltivato nel suo DNA una pietà popolare con frutti abbondanti di vocazioni religiose maschili e femminili. 

Nel racconto del mio percorso di vita, ho sempre tenuto caro il rapporto con la terra d’origine… anche se per 70 anni ho vissuto sempre fuori il mio paese.

Dopo gli studi, l’ordinazione sacerdotale nel 1968 e una breve esperienza parrocchiale di 3 anni a Palermo nel quartiere Noce, ho vissuto 30 anni a Carini, iniziando come fondatore del CENTRO KOLBE – Villa Belvedere, con una poliedrica attività ad intra nel Centro di Spiritualità francescana e ad extra con svariate attività sociali, culturali e di pastorale dell’accoglienza a favore dei cento mila residenti estivi nell’hinterland metropolitano di Palermo. 

Nel 2001 iniziai la mia attività a servizio dell’Ordine francescano nella qualità Segretario della Conferenza Intermediterranea dei Superiori dei Frati Conventuali e per 18 anni Segretario delle quattro Famiglie Francescane d’Italia. Dal 2013 ad oggi sono a Roma e svolgo il compito di Direttore del Centro Missionario Francescano, organismo che coordina le attività e i progetti dei frati missionari conventuali presenti in 40 nazioni del mondo.  

In questi anni della mia vita a Roma ed anche per il mio ufficio sul campo missionario, ho avuto e intessuto molti rapporti con la Santa Sede, prima con Papa Benedetto XVI e durante i 12 anni di Pontificato di Papa Francesco”. 

Padre Paolo, da quanto ci hai detto fin qui, sicuramente hai avuto modo di incontrare Papa Francesco e varie personalità vaticane: ci puoi dare un tuo pensiero sul pontificato di questo uomo “venuto dalla fine del mondo” e qualche testimonianza personale?

“Sono tanti i ricordi che mi vengono in mente. Il primo con Papa Benedetto, quando nel 2010 fece la visita pastorale a Palermo ed ebbi l’incarico di dirigere l’Ufficio Stampa della visita. Tre mesi di intensa preparazione con la grande attesa della città e l’organizzazione dei mille giornalisti accreditati. I due momenti salienti sono stati… quando dovevo trovarmi sotto l’aereo papale a Punta Raisi e la Sala Stampa Vaticana mi consegnò i discorsi ufficiali della giornata. 

Feci il percorso papale della città da solo e prima del Papa per raggiungere il Foro Italico e consegnare i discorsi ai giornalisti con gli embarghi. Il secondo, quando su mio suggerimento, ho fatto fermare il corteo papale dinanzi la “Stele Falcone” a Capaci e Papa Benedetto depose un mazzo di fiori e si inginocchiò e pregò per tutte le vittime della mafia.

Sul Pontificato di Papa Francesco avrei tanti aneddoti da raccontare nei dieci incontri avuti con Lui. Molti in piazza San Pietro e Sala Nervi e poi a Santa Marta per la concelebrazione del mattino alle ore 7. 

In piazza San Pietro, nella prima udienza dopo la sua elezione, il 30 marzo del 2013… per donargli assieme al maestro Nicola Fiasconaro una colomba pasquale e tre anni dopo con tutte le maestranze dell’industria dolciaria castelbuonese e l’incontro con i tre fratelli Fiasconaro per donargli la colomba e i dolci tipici di Castelbuono e con l’invito di venire in Sicilia (visita avvenuta dopo, per la beatificazione di don Pino Puglisi). 

Nella Sala Nervi andai subito dopo il Covid-19 per donargli il libro “FRATE MOVIDA” (Edizioni Messaggero Padova) sulla mia esperienza missionaria decennale estiva nelle banchine del Tevere, anche per attuare il messaggio pastorale di Papa Francesco “essere chiesa in uscita nelle periferie esistenziali”. 

Altro incontro a Santa Marta, quando mi accolse il giorno prima di partire per il Perù e mi ha incaricato di portare il suo saluto e vicinanza ai missionari nel giorno della beatificazione di 2 confratelli polacchi missionari uccisi dal gruppo terroristico “Sendero luminoso”. 

In tutti gli incontri, Papa Francesco ti sembrava un tuo amico e confidente, mai distaccato e sempre interessato alla mia attività missionaria e soprattutto per l’esperienza sulle banchine del Tevere, confidandomi che sicuramente qualche sera sarebbe venuto a trovarmi.

Indimenticabili per noi uomini di Chiesa le Sue frasi incisive e piene di significato che ti facevano riflettere: “chiesa in uscita; non facciamoci rubare la speranza; vicini agli scarti della società; chiesa come ospedale da campo; il pastore con l’odore delle pecore…” e soprattutto la sua vita era coerente al Vangelo e contrario alla popolarità. I suoi messaggi, i suoi gesti e i suoi insegnamenti erano radicali ed essenziali.

Credo che l’eredità che ci consegna il Papa missionario, è l’opzione preferenziale per i poveri e gli emarginati e la gioia di vivere il Vangelo “ sine glossa” (alla lettera) come ammoniva San Francesco ai suoi frati. 

Altro mio rapporto particolare con la Santa Sede è l’amicizia personale con il Segretario di Stato Card. Pietro Parolin, per le sue prefazioni scritte in due miei libri pubblicati recentemente e l’impegno datomi dopo il conclave, di piantare nei giardini vaticani due alberi di frassino provenienti da Castelbuono e così testimoniare anche in Vaticano l’albero della manna di chiara reminiscenza biblica”.

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il giornale di Castelbuono e oltre

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