Il 2 giugno 1946, per la prima volta nella storia, tutti gli italiani e le italiane, venivano chiamati alle urne per scegliere l’assetto istituzionale da darsi. Il sangue sparso nelle guerre e le atrocità del regime convinsero a scegliere l’innovazione e la Repubblica.
Da quel momento la partecipazione democratica alle scelte politiche per lo sviluppo del Paese divennero la regola. 21 donne, tra gli altri, furono elette per animare il dibattito in seno all’Assemblea Costituente e contribuire alla scrittura della Costituzione. Alcune staffette partigiane, molte reduci da prigione e confino, i loro nomi non vengono mai ricordati abbastanza: Adele Bej, Nadia Gallico Spano, Nilde Jotti, Teresa Mattei, Angiola Minella, Rita Montagnana, Teresa Noce, Elettra Pollastrini, Maria Maddalena Rossi, Laura Bianchini, Elisabetta Conci, Filomena Delli Castelli, Maria De Unterrichter Jervolino, Maria Federici, Angela Gotelli, Angela Guidi Cingolani, Maria Nicotra, Vittoria Titomanlio, Angelina Merlin, Bianca Bianchi, Ottavia Penna Buscemi.
Da allora, il cammino per l’affermazione dei diritti e dell’eguaglianza non si è mai fermato, anche se spesso subisce imbarazzanti battute d’arresto o incontra ostacoli inconcepibili.
Sulla carta è sempre stata affermata, a parità di doveri, parità di diritti ma l’Italia ancora non garantisce effettivamente tale condizione come sostanziale.
Per un donna è più difficile trovare lavoro o fare carriera se sceglie di coniugare professionalità e famiglia, non è garantita la sua parità salariale e trova impedimenti di varia natura nelle progressioni di carriera ai livelli dirigenziali e istituzionali.
Etichette, chiacchiericci, pettegolezzi e cliché sporcano, molto spesso, i risultati conquistati sul lavoro e in politica e spesso sono proprio le altre donne che non hanno ottenuto altrettanto o combattuto e creduto abbastanza ad alimentarli.
In Italia si muore ammazzate ogni giorno semplicemente perché donne, si subiscono mortificazioni di ogni sorta e ci si stupisce ancora se si riesce a diventare sindache, prime ministre o segretarie di partito, come se sopravvivere o affermarsi non fosse un diritto indiscutibile ma una prodigiosa conquista.
Si vota poco e male in Italia e sempre meno a sinistra in tutta Europa e ciò meriterebbe una profonda riflessione e una seria autocritica.
Decantare le lodi del nostro Bel Paese ad ogni ricorrenza è troppo semplice e scontato. Semmai, nel quotidiano va riconfermato l’impegno per un sistema più giusto, più equo, più civile, in cui il rispetto per le persone e le regole sia il motore dell’azione, per scongiurare ogni forma di elusione e di assenza nella partecipazione.
Oggi più che mai e nei prossimi mesi, si rifletta seriamente sul significato del principio per cui “La Repubblica una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali… adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento” (art. 5 Cost.), affinché autonomia differenziata non diventi sinonimo di divario territoriale insanabile.
Per questo e per tutto quello che, ogni giorno, spetta a ciascun italiano fare: Viva l’Italia, Viva la Repubblica!