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Costituente, Democratici e PD, così per il 25 aprile

A 80 anni dal 25 aprile del 1945 la Costituente contro ogni fascismo

Che la festa per l’80° anniversario della Liberazione dal Nazifascismo sarebbe stata speciale quest’anno, era prevedibile; una suggestiva cifra tonda di ben 80 anni che ci separano dai fatti del 25 aprile 1945 e dintorni.

Ricordiamoli, quei momenti: mentre Mussolini scappa da Milano per tentare un’ignominiosa fuga in Svizzera, il Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia (CLNAI) proclama l’insurrezione generale in tutto il Nord del Paese. Le forze partigiane vengono invitate ad attaccare con decisione gli occupanti nazifascisti, per costringerli ad una resa che sarebbe arrivata, in tutta l’Italia Settentrionale, entro il 1° maggio 1945.

20 anni di dittatura fascista, 5 anni di guerra e quasi 2 anni di occupazione nazista finalmente vengono gettati nella spazzatura della storia. O, meglio, questo è ciò che avrebbe dovuto essere; dalla spazzatura, di tanto in tanto, c’è chi proverà, nel lungo dopoguerra, a togliere il Fascismo, cercando di minimizzarne i crimini. Il “Mussolini ha fatto anche cose buone” lo abbiamo sentito spesso ed è una convinzione dura a morire.

In questo clima di revisionismo (più forte negli ultimi 30 anni) il Governo attuale si trova a suo agio, snobbando la Resistenza e disertando ogni anno, non senza imbarazzo, le celebrazioni per la Liberazione.

E l’imbarazzo, in questo 80°, sarebbe stato doppio…se non fosse intervenuto un fatto epocale: la morte di Papa Francesco. Una gravissima perdita per l’umanità e per quanti, credenti e non, hanno a cuore la Pace e la difesa degli ultimi. Il Governo Meloni, forse, ha cercato di sfruttare l’evento per mettere la sordina, col Lutto Nazionale di 5 giorni, alle celebrazioni del 25 aprile. Intendiamoci: la proclamazione del Lutto è sacrosanta, ma è singolare il fatto che siano stati indicati ben 5 giorni mentre, ad esempio, per la scomparsa di papa Giovanni Paolo II…soltanto 3! Una coincidenza o il deliberato proposito di includere, nei giorni di lutto, anche il tanto detestato 25 aprile, per oscurarlo mediaticamente?

La Costituente vuole ricordare, anche quest’anno, il sacrificio di quanti hanno lottato per sconfiggere il nazifascismo. Un sacrificio non solo delle decine di migliaia di giovani e di meno giovani delle formazioni partigiane; c’è stato un più vasto movimento di uomini, di donne, di lavoratori, che si sono opposti al nazifascismo in vari modi. Con gli scioperi, coi sabotaggi o, semplicemente, ospitando e nascondendo i partigiani braccati dal nemico.

Anche a loro si deve la democrazia e la Costituzione antifascista. A loro, un grazie convinto da parte di chi oggi, al pari dell’ANPI, si batte per la Pace e per il disarmo, ma che non ha alcuna difficoltà a riconoscere la necessità di imbracciare le armi per chi, 80 anni orsono, si opponeva ad un nemico così feroce.

Oggi vogliamo che guerra e violenza, al pari dei fascismi e degli autoritarismi di ogni specie, finiscano anch’esse nella spazzatura della Storia; non è ancora così e la guerra continua a far ben parte dell’umano agire. I piani sconcertanti di riarmo europeo rischiano di richiamare e di attirare altre guerre. Altro che deterrenza!

La Resistenza di 80 anni fa, contro un nemico spaventoso, violento e liberticida.

La Resistenza di oggi, contro i nuovi e i vecchi fascismi, contro i revisionismi in malafede e contro chi, animato da un rinnovato bellicismo, vuole avvelenare il dibattito tacciando di putinismo o di antisemitismo chi osa, in nome della pace, condannare la violenza e la guerra da qualunque parte esse provengano.

Proprio come osava Papa Francesco, uomo che non finiremo mai di rimpiangere, come esempio di difesa della dignità umana.

Costituente per la Castelbuono di domani

Sobriamente: vivere vuol dire essere partigiani

Quanta retorica sulla Resistenza, e trite polemiche sul 25 aprile. Eppure è possibile sfuggire all’ovvio o alle strumentalizzazioni. In un saggio del 1962, scrive Italo Calvino:

«La nostra esperienza della storia è stata diversa da quella delle generazioni precedenti, e in polemica implicita o esplicita con loro; e le ragioni di polemica certo non ci mancavano: se c’è stata una gioventù che poteva mettere sul banco d’accusa i propri padri, siamo stati noi, e questa è sempre una situazione fortunata. Non si trattava di una rottura totale, però: dovevamo trovare tra le idee dei nostri padri quelle cui potevamo riattaccarci per ricominciare, quelle che loro non erano stati capaci o non avevano fatto in tempo a rendere operanti. Perciò la nostra non è stata una generazione nichilista, di iconoclasti o di angry young men: al contrario, è stata precocemente dotata di quel senso della continuità storica che fa del vero rivoluzionario l’unico “conservatore” possibile, cioè colui che nella generale catastrofe delle vicende umane abbandonate al loro impulso biologico, sa scegliere ciò che va salvato e difeso e sviluppato e fatto fruttare. […]

Per molti di noi, fin da ragazzi, rifiutare la mentalità fascista voleva dire innanzitutto rifiutarsi di amare le armi e la violenza; l’inserimento nella lotta partigiana armata implicò, dunque, oltretutto, il superamento di forti blocchi psicologici dentro di noi. Ero venuto su con una mentalità che poteva condurmi più facilmente a fare l’obiettore di coscienza che il partigiano; e a un tratto mi trovavo in mezzo alla lotta più cruenta. Ma l’ultima generazione non ha tempo di costruirsi il dramma interiore: ha trovato il dramma esteriore perfettamente costruito. La tragedia del nostro paese e la ferocia dei nostri nemici crescevano più s’avvicinava la resa dei conti; la logica della Resistenza era quella stessa della nostra spinta vitale. Si poteva cadere, per reazione, nell’estremismo, perchè ci pareva che tanti strazi non sarebbero stati mai abbastanza vendicati; oppure, per disciplinare questa spinta passionale, in un freddo legalitarismo politicizzato.

Ma da tutte queste componenti fuse in un solo calore vitale quel che saltò fuori fu lo spirito partigiano, cioè una attitudine a superare i pericoli e le difficoltà di slancio, un misto di fierezza guerriera e di autoironia sulla stessa propria fierezza guerriera, di senso di incarnare la vera autorità legale e di autoironia sulla situazione in cui ci si trovava a incarnarla, un piglio talora un po’ gradasso e truculento ma sempre animato da generosità, ansioso di far propria ogni causa generosa. A distanza di tanti anni, devo dire che questo spirito, che permise ai partigiani di fare le cose meravigliose che fecero, resta ancor oggi, per muoversi nella contrastata realtà del mondo, un atteggiamento umano senza pari».

Ma vi è anche un altro modo per sfuggire alla retorica della Resistenza e provare a viverne i principi ispiratori con autenticità. In un suo scritto dell’11 febbraio 1917, “La città futura” (pubblicato a cura della Federazione giovanile piemontese del Partito Socialista), Gramsci aveva dissertato sul termine “partigiano”, in un certo senso antelitteram:

«Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano. […]. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti». E su quest’ultimi continua: «l‘indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. […] Ciò che succede, il male che si abbatte su tutti, il possibile bene che un atto eroico (di valore universale) può generare, non è tanto dovuto all’iniziativa dei pochi che operano, quanto all’indifferenza, all’assenteismo dei molti. Ciò che avviene, non avviene tanto perché alcuni vogliono che avvenga, quanto perché la massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia fare, lascia aggruppare i nodi che poi solo la spada potrà tagliare, lascia promulgare le leggi che poi solo la rivolta farà abrogare, lascia salire al potere gli uomini che poi solo un ammutinamento potrà rovesciare».

In questo imprescindibile sillogismo, in questo cogito ergo sum fra vivere, essere vivo e partecipare, “parteggiare” in ogni aspetto della vita sociale, in questa esistenza politica, in questa politica esistenziale, sta in nuce il primo seme della Resistenza, e il nostro più sincero e profondo augurio: buona Resistenza a tutti.

Democratici per Castelbuono

Il 25 aprile, sì, è la Festa di tutti gli Italiani liberi e onesti, cresciuti e nati dalla lotta di Resistenza

Esattamente 80 anni fa, l’Italia veniva liberata dal nazi-fascismo e sbocciavano le Libertà che si sono tradotte in Diritti, Tutele e una forte, sana e robusta Costituzione.

80 anni di conquiste che, vogliamo tranquillizzare tutti, continueranno!

Il sacrificio personale di tanti giovani che hanno avuto il coraggio di ribellarsi alla dittatura, giovani donne e uomini partiti da ogni parte d’Italia per combattere e resistere tra le montagne, le valli e i campi del Nord, non è stato e non sarà mai vano.

Oggi, vogliamo ricordare i giovani madoniti che scelsero la strada del martirio e del non ritorno per restituire ai loro cari e alle generazioni future una Vita degna di questo nome, a costo della propria. Che dissero “no” al fascismo, senza remore e con coraggio.

Un coraggio che oggi manca a tanti coetanei come loro e a certa politica che oggi governa proprio grazie a quel sacrificio che, però, evita di ricordare e rinnega con artifici e invenzioni che fanno sorridere ma anche arrabbiare.

Non abbiamo bisogno di chi ci invita alla sobrietà in una società in cui siamo liberi anche di esprimere il nostro dissenso come vogliamo, entro i limiti di legge.

Non abbiamo bisogno di chi fa dell’ ipocrisia, della retorica paternalistica e della negazione la propria piattaforma operativa e la base della propria coerenza.

Non abbiamo bisogno di chi considera divisive le celebrazioni antifasciste e partigiane.

Essere partigiani, oggi, significa scegliere da che parte stare, senza compromessi e statagemmi.

Essere partigiani, oggi, significa essere laici e non asserviti alla finzione.

Essere partigiani, oggi, significa riconoscere quando gli altri ci privano della verità camuffandola da menzogna.

Essere partigiani, oggi, significa anche celebrare la morte di tutti coloro i quali, da martiri per le libertà, ci hanno lasciato valori da portare avanti e tra questi sicuramente possiamo annoverare anche Papa Francesco, un vero leader morale e politico, uno dei pochi rimasti, dalla parte giusta più di tanti.

Che sia ora e sempre Resistenza, per una società più giusta e meritocratica, per una Italia onesta e “in salute”, dove lavorare, farsi curare, sopravvivere non sia una guerra come quelle che tanti hanno interesse a combattere sulle spalle dei civili inermi.

Per la Pace e la Giustizia tra le Nazioni e affinché l’umiltà e la solidarietà tornino, una volta e per tutte, a governare e valorizzare le azioni concrete delle Persone perbene.

Buon 25 aprile.

Sobriamente.

La Coordinatrice

Luciana Cusimano

#liberazione80#anpi

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