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L’ulivo tra storia e leggenda, mitologia della pianta donata all’uomo per alimento e la pace

Tu donasti agli uomini l’ulivo e, con esso, hai donato luce, alimento e un eterno simbolo di pace.” Zeus ad Atena

Il primo albero d’ulivo, secondo la leggenda greca, nacque dalla rivalità tra Atena, dea della Sapienza e delle arti e Poseidone, dio del mare e fratello di Zeus che, un giorno, si scatenarono l’una contro l’altro per il possesso dell’Attica. Non avendo raggiunto un accordo amichevole, ricorsero a Zeus, padre degli dei. Zeus tuonò che la terra sarebbe appartenuta a chi dei due avesse elargito il dono più prezioso all’umanità. Poseidone colpì con il suo tridente la schiuma del mare e ne uscì fuori il cavallo che, con la sua possenza e il suo vigore, avrebbe fatto vincere tutte le battaglie. Atena, con la sua lancia, colpendo la terra, fece nascere un albero maestoso, il cui frutto, con le sue proprietà, avrebbe rappresentato un alimento unico e prezioso e offerto benessere e pace agli uomini che lo avessero coltivato: l’albero di ulivo. Zeus scelse la pianta che, secondo lui, si sarebbe rivelata più utile all’uomo. Ne benedisse le foglie argentee dicendo: “Questa pianta proteggerà una nuova città che sarà chiamata Atene, da te, figlia mia”. Atena, così divenne la dea protettrice di Atene e padrona dell’Attica. L’ulivo fu considerato sacro, rappresentando il simbolo universale dell’eterno, della pace e della prosperità. L’antica Roma ci tramanda la leggenda che Romolo e Remo, fondatori di Roma, nacquero all’ombra di un albero di ulivo, che divenne simbolo di gloria perché un intreccio delle sue fronde veniva offerto ai cittadini più meritevoli e valorosi. Di questo albero ne hanno parlato poeti e filosofi del calibro di Omero, nell’VIII secolo a.C., Solone nel VI secolo a.C., Democrito nel I secolo a.C., Plinio il Vecchio nell’80 d.C. Nell’Odissea, Omero ha citato l’ulivo diverse volte, raccontando l’abitudine delle dee dell’Olimpo a cospargere il corpo con olio di oliva per preservarne la bellezza. Ulisse fu cosparso e lavato con olio e il suo letto di nozze fu scavato in una grossa pianta di ulivo alla quale fu tolta solo la chioma e, di ulivo era il bastone conficcato nell’occhio del ciclope Polifemo. L’ulivo è una pianta longeva e secolare, accreditate ipotesi sostengono che abbia una storia millenaria, che la sua nascita risalga ad oltre 6000 anni fa. Pianta eterna ha sfidato i secoli, con tronchi che superano quattro metri di circonferenza, come gli esemplari sopravvissuti nell’orto di Getsemani. Dalla Siria, dalla Palestina, dalla Grecia e da tutte le sue isole, la pianta si diffonde in tutto il Mediterraneo. Sono stati l’olio e il sale a dare sviluppo alla civiltà mediterranea, perché indispensabili a conservare i cibi durante le lunghe navigazioni. Due secoli e mezzo prima della nascita di Cristo, il codice babilonese poneva regole sul commercio dell’olio. I greci e i Fenici allestirono grandi navi con grandi anfore per il trasporto, con grande benessere commerciale per i popoli del Mediterraneo, grazie anche, alle richieste che venivano dalla Mesopotamia e dall’Egitto. Il frantoio più antico fu rinvenuto nell’arcipelago greco delle Cicladi, precisamente nell’isola di Santorini. La pasta delle olive veniva sistemata in ceste sovrapposte, da dove percolava il liquido prezioso che, a sua volta, veniva riposto in anfore di argilla cotta. Ai Negotiatores oleari, sotto l’Impero Romano venivano concessi privilegi particolari per incoraggiare il commercio. La produzione, purtroppo, rallentò, quasi si fermò con la caduta dell’Impero. In Sicilia, con il declino dell’Impero Romano e la dominazione araba, la cultura dell’olivo fu trascurata a vantaggio della cultura degli agrumi. Nel Medioevo tornò ad essere elemento importante per il commercio, acquisendo una dimensione fortemente mediterranea, cruciale alimento che avvicina culture lontane. Fu portato in America dalle navi spagnole, nel 1500 e, oggi, viene coltivato in tutto il mondo. Nel Rinascimento e poi con la dominazione spagnola, nel sud Italia e in Sicilia, si estese la coltura olivicola. A partire dal 1700, l’olio viene esportato in nord Europa. Oggi, l’interesse per l’olio è sempre più crescente in tutto il mondo. Attorno a questo albero, storia, mitologia, religione, aleggiano, si intrecciano. Per i Greci l’olio è considerato nettare degli Dei, per gli Egizi un dono della dea Iside e, nella Bibbia, diventa simbolo di pace tra Dio e gli uomini. Sacro, trascendente, spirituale, simbolo di rinascita di fertilità, sia nella religione che nella mitologia, ha rappresentato un elemento di purificazione. Molto significativa l’unzione fatta dalla sorella di Marta a Gesù, alla vigilia del suo ingresso a Gerusalemme. Gv. 12, 3. L’ulivo simbolo di pace, di salvezza e segno di una nuova alleanza con l’uomo. “Attese Noè altri sette giorni e di nuovo fece uscire la colomba dall’arca e la colomba tornò a lui, sul far della sera; ed ecco aveva una fronda d’olivo novella nel becco. Noè comprese che le acque si erano ritirate dalla terra.” Genesi, Antico Testamento. A Gerusalemme, nella Basilica del Santo Sepolcro, c’è la lastra dell’unzione sulla quale il Corpo di Cristo fu adagiato per essere cosparso di balsami. Su questa lastra ardono lampade a olio e, ognuna, rappresenta un credo religioso. La religione cristiana utilizza l’olio come Crisma nelle liturgie. Le parole Messia e Cristo derivano rispettivamente dall’ebraico Mashiah e dal greco Christòs che significano unto. Nel Corano, l’ulivo diventa luce di Dio per il suo olio contenuto in un’ampolla di cristallo che illumina come una stella sfavillante e i musulmani pensano che sia colmo di tanta Baraka, cioè di forza vitale. Agli Ebrei evoca la luce divina e la pace interiore ed è stato impiegato nelle cerimonie di unzione di re (ricordiamo re Davide), sacerdoti, come segno di benedizione divina. Archetipo di rinascita, di pace, di rinnovamento, cuore di numerose tradizioni. L’Italia ha nell’ulivo il più importante patrimonio genetico al mondo per le centinaia di varietà sparse sul suo territorio.

[…] fratelli olivi

che fan di santità pallidi i clivi

e sorridenti.

La sera fiesolana, G. D’Annunzio

L’ulivo, con il suo fascino senza tempo è icona, elemento identitario e simbolo della storia millenaria del bacino del Mediterraneo, ne ha plasmato l’agricoltura, il paesaggio, la cultura e le tradizioni. Dal XVI secolo, in Sicilia, si fa uso dell’olio in medicina. Secondo la medicina popolare era efficace contro le malattie cutanee e contro l’emicrania se accompagnato dal segno della croce. “L’ogghiu di nivi”, olio in cui si scioglieva la neve, era usato per la medicazione di ferite. Nella cosmesi venivano prodotti unguenti profumati per il corpo. Nella cultura siciliana contadina si trovano modi di dire in lingua dialettale che, ormai, vanno scomparendo, collegati all’olio, che mettono in risalto l’importanza che gli si attribuiva: “Di jornu unni vogghiu e di sira spardu l’ogghiu” (di giorno non voglio sapere e di sera spreco l’olio della lampada), che si riferisce al non lavorare quando si deve; “Acqua d’austu, ogghiu, meli e mustu” (la pioggia che cade nel mese di agosto fa bene alla produzione di olio, miele e uva.) Il sistema di lavorazione è migliorato grazie alle innovazioni tecniche. Elemento cardine, re degli alimenti della Dieta Mediterranea, grazie alle sue proprietà nutritive, benefiche, protettive e di modulazione delle difese immunitarie del corpo. In Sicilia permane il rispetto per le tradizioni, gli stessi utensili del passato e gli stessi termini. La “giarra” il tipico recipiente di argilla dove viene conservato l’olio, la “burnìa”, dall’arabo “burnïya”, sempre in terracotta, contenitore utilizzato per la conserva di olive in salamoia e il “tumminu”, misura di capacità per le olive. La tradizione vuole che l’ateniese Aristeo insegnò agli antichi siciliani come estrarre l’olio, inventando “u trappitu”, il frantoio tradizionale a pressa. La “coffa”, corda intrecciata che serviva a contenere la pasta da mettere sotto il torchio. In Sicilia si possono contare almeno sedici varietà di alberi di ulivo; le caratteristiche naturali del territorio e le proprietà morfologiche del suolo, il clima mite e soleggiato consentono agli ulivi di adattarsi e di crescere rigogliosi. Ritroviamo riprodotto l’ulivo anche nei mosaici del museo all’aperto di Villa Romana del Casale di Piazza Armerina (Enna), struttura romana di epoca tardo imperiale, patrimonio dell’umanità e cultura Unesco. Patriarchi, spettatori, narratori silenziosi della storia di Sicilia, le sue radici profonde, intrecciate con la storia e la cultura, rappresentano la forza e la bellezza della natura siciliana. Alivu saracinu, secondo Giuseppe Pitrè, viene chiamato un ulivo grande e annoso che, secondo le tradizioni, si fa risalire ai tempi dei Saraceni. Appellativo utilizzato da Pirandello, forse a voler rimarcare l’origine araba, quando, alle prese con la sua opera teatrale incompiuta I giganti della montagna, consapevole che stesse per morire, sorridente dice al figlio Stefano: “Vedo in mezzo alla scena, un grande olivo saraceno, con cui ho risolto tutto”, intendendo dire che aveva trovato la soluzione scenografica. Nell’opera La giara: Era un vecchio sbilenco dalle giunture storte, come un ceppo antico d’olivo saraceno. Olivo saraceno, amore antico, emblema della Sicilia, terra di Pirandello. Leonardo Sciascia, nel suo romanzo Alfabeto Pirandelliano, definisce l’ulivo saraceno: “È quell’ulivo dal tronco contorto, attorcigliato, di oscure crepe, come torturato e par quasi di sentirne il gemito. Annoso, antico e si crede siano stati i saraceni a piantarlo…” Anche nella lirica Strada di Agrigentum, di Salvatore Quasimodo, troviamo versi dedicati agli ulivi saraceni.

[…] il marranzano tristemente vibra

nella gola al carraio che risale

il colle nitido di luna, lento

tra il murmure d’ulivi saraceni.”

Andrea Camilleri, nell’opera Il cane di terracotta:

[…] la casuzza a un piano, una càmmara sotto e sopra, stava proprio in pizzo alla collinetta, seminascosta da quattro enormi ulivi saraceni che la circondavano quasi per intero…” e ancora il nostro Camilleri, innamorato della sua terra, nel suo romanzo La gita a Tindari, fa riferimento ad un vetusto albero d’ulivo che, volendo omaggiare Pirandello, chiama saraceno e, le cui radici, per lui, ricordano quelle di un essere umano e, al pari di un essere umano, rappresentano la libertà. L’ulivo diventa la metafora del legame ancestrale tra l’uomo e la natura.

[…] Montalbano, quando non aveva gana di mare, sostituiva la passiata lungo il braccio del molo di levante con la visita all’àrbolo d’ulivo. Assittatu a cavasè sopra uno dei rami bassi, addrumava una sigaretta. […] Aveva scoperto che, in qualche misterioso modo, l’avvilupparsi, il contorcersi, il sovrapporsi delle ramature, rispecchiava quello che succedeva dintra alla sua testa, l’intreccio delle ipotesi, l’accavallarsi dei ragionamenti. […] Per una mezzorata se ne stette a panza all’aria, senza mai staccare lo sguardo dall’àrbolo. E più lo taliava, più l’olivo gli si spiegava, gli contava come il gioco del tempo l’avesse intortato, lacerato …” Purtroppo un destino empio lo attende, verrà sradicato, sacrificato per la costruzione abusiva della villetta. Soccombe quell’albero che per Montalbano era il rifugio dalle angustie del quotidiano. “[…] Quando arrivò nella parte darrè la villetta, andò a sbattere contro quella che, sulle prime gli parse una troffa di spinasanta. Taliò meglio e fece un urlo. Aveva visto un morto. O meglio, un moribondo. Il grande aulivo saraceno era davanti a lui agonizzante dopo essere stato sradicato e getta ‘n terra. Agonizzava, gli avevano staccato i rami dal tronco, il tronco stesso era stato già profondamente ferito dalla scure. Le foglie erano accartocciate e stavano seccando.” Montalbano accarezza la pianta come fosse un essere umano, poi “[…] si rese conto confusamente che si era messo a chiangiri …”

Tra i brani della nostra grande conterranea Rosa Balistreri, troviamo una melodia antichissima, che veniva cantata dai raccoglitori d’olive, una melodia che serviva a ritmare i tempi del lavoro e per alleviarne la fatica.

E la pampina di l’alivu, di l’alivu la pampina …”

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