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Nel centenario del delitto di un antifascista esemplare: Giacomo Matteotti

Deputato socialista, esponente dell’ala riformista e soprannominato dai suoi compagni di partito “Tempesta”, per il suo carattere battagliero, Giacomo Matteotti, il 30 maggio 1924, pronunciava, alla Camera, un durissimo discorso (l’ultimo, purtroppo!), denunciando i brogli elettorali , le intimidazioni e i pestaggi, che avevano inficiato le elezioni politiche del 6 aprile 1924: “Voi che oggi avete in mano il potere e la forza … dovreste meglio di tutti gli altri essere in grado di far osservare la legge da parte di tutti… Voi volete ricacciarci indietro. Noi difendiamo la libera sovranità del popolo italiano al quale mandiamo il più alto saluto e crediamo di rivendicarne la dignità, domandando il rinvio delle elezioni inficiate dalla violenza alla Giunta delle elezioni…Uccidete me, ma l’idea che è in me non la ucciderete mai… La mia idea non muore”. Si racconta che a quanti si congratulavano, al termine del suo discorso, Matteotti avesse detto: “E adesso potete preparare la mia orazione funebre”. Il giorno successivo, i giornali fascisti scrissero che l’intervento di Matteotti era stato “mostruosamente provocatorio”. Appena qualche settimana dopo, Il 10 giugno 1924, Giacomo Matteotti veniva aggredito e rapito da un gruppo di squadristi fascisti, collaboratori del ministero degli Interni: Amerigo Dumini, Albino Volpi, Giuseppe Viola, Amleto Poveromo e Augusto Malacria. Nei giorni successivi, con sempre maggiore insistenza, si cominciò a parlare dell’assassinio di Matteotti, ma non si riusciva a trovare il suo cadavere. Veniva, invece, ritrovata la macchina del rapimento, che risultava essere di proprietà del giornalista Filippo Filippelli, direttore del “Corriere italiano”. Il 12 giugno, in partenza per Milano, veniva arrestato Amerigo Dumini. Il 13 giugno, Mussolini annunciava, alla Camera, seppure con toni alquanto imbarazzati, l’apertura di un’inchiesta sul rapimento di Matteotti. Il 18 giugno venivano arrestati gli squadristi Albino Volpi e Amleto Poveromo, ma anche, con l’accusa di complicità, il segretario amministrativo del Partito Nazionale Fascista Giovanni Marinelli. Tuttavia, nonostante l’evidente complicità del governo, il re Vittorio Emanuele III si rifiutò di sciogliere l’esecutivo e di indire nuove elezioni. La coalizione di destra, costituita da fascisti, liberali, ex popolari e nazionalisti, aveva riportato, nelle elezioni del 6 aprile, il 64,9% dei voti, ma, per effetto della legge elettorale Acerbo, aveva ottenuto 375 seggi su 560. Dunque, senza difficoltà alcuna, la Camera e il Senato, il 25 giugno, su richiesta di Mussolini, confermavano la fiducia al governo. Il 27 giugno, le opposizioni parlamentari davano clamorosamente vita alla “secessione dell’Aventino”. Il cadavere di Giacomo Matteotti venne finalmente ritrovato, il 16 agosto, in località Quartarella, nei pressi di via Flaminia. Alle conseguenti agitazioni popolari, Mussolini reagì, aumentando la repressione nei confronti dei partiti di opposizione. il 3 gennaio 1925 pronunciò un duro discorso alla Camera, assumendo su di sé “la responsabilità politica morale, storica di tutto quanto è avvenuto” e manifestando la sua ferma volontà di sopprimere il sistema parlamentare. Nella sola seduta del 14 gennaio1925, furono approvati circa duemila decreti legge e il 9 novembre 1926 la Camera deliberò la decadenza dei 123 deputati aventiniani. Il processo agli assassini di Matteotti si svolse a Chieti, dal 16 al 24 marzo 1926. La difesa degli imputati fu assunta da Roberto Farinacci, segretario del Partito Nazionale Fascista: “Il processo non si farà né al regime né al partito. Il processo si farà alle opposizioni”. Dei cinque imputati solo tre (Dumini, Volpi e Poveromo) furono condannati ciascuno a 5 anni, 11 mesi e 20 giorni di pena, ma con il condono di 4 anni, sulla base di un decreto amministrativo di amnistia. A Giacomo Matteotti, nel centenario del suo assassinio, vanno la nostra ammirazione e la nostra gratitudine, per il suo luminoso esempio di antifascismo, che non può non costituire, ancora oggi, un monito per l’impegno sociale e politico di ciascuno di noi.

Antonio Ciolino (Coordinatore del Consiglio di Biblioteca)

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