Furono 130 le vittime del terrorismo nella capitale francese. Il tributo delle istituzioni e la vicinanza della Chiesa locale. Arthur Dénouveaux, sopravvissuto all’attacco del Bataclan e oggi presidente dell’associazione Life for Paris: “Di tutto ciò che abbiamo vissuto, quello che conservo sono le amicizie”
A dieci anni dalla notte che ha colpito il cuore della Francia, il 13 novembre rimane un punto di frattura che continua a interrogare il presente. Non solo per il trauma collettivo che ha attraversato l’Europa, ma perché molte delle dinamiche emerse allora restano sorprendentemente attuali.
Dinamiche ancora attuali
Anzitutto, nel 2015 la matrice jihadista degli attentati era rivolta a una Francia impegnata contro l’Is in Siria e in Iraq, che aveva sconfitto la ribellione guidata dai qaidisti di Aqim nel nord del Mali e che vantava più di tremila soldati per combattere il terrorismo nel Sahel, regione cuore della Frančafrique. Oggi la presenza della Francia nel mondo è notevolmente cambiata, come dimostra proprio il Sahel e il disimpegno di Parigi da Mali, Burkina Faso e Niger. Le indagini sul Bataclan hanno poi suggerito la possibilità che la scelta del teatro rispondesse anche a un simbolismo legato alla sua identificazione con ambienti ebraici, nonostante sia difficile stabilire con certezza quanto questo possa aver influito sulle scelte dei terroristi. Soprattutto, non si può non constatare come gli attentati misero in luce le insufficienze di un sistema francese che, ancora oggi, sembra fragile. Sul piano dell’intelligence, la debolezza strutturale che il 13 novembre si rivelò con brutalità resta centrale ancora oggi, di fronte alle nuove minacce ibride, digitali. Ma la crisi riguardava anche il terreno sociale da cui la radicalizzazione traeva forza. Il caso di Molenbeek, quartiere a ovest di Bruxelles, e dei flussi jihadisti transitati via Belgio, divenne emblematico, non perché quel quartiere fosse un’eccezione, ma perché concentrava molte delle fragilità europee nella gestione disomogenea delle minoranze.
Le commemorazioni odierne
Così, la stretta attualità di un passato che non passa e il ricordo indelebile delle 130 vittime hanno guidato oggi tutta la Francia e soprattutto la sua capitale: a Parigi la commemorazione è iniziata alle 11.30 a Saint-Denis, dove è stato ricordato Manuel Dias, la prima vittima dei kamikaze che si fecero esplodere ai varchi dello stadio. Da lì, le autorità, alla presenza del presidente francese, Emmanuel Macron, si sono spostate nei luoghi dei primi attacchi: Le Petit Cambodge e Le Carillon, La Bonne Bière, il Comptoir Voltaire, La Belle Équipe. Alle 14.30, la cerimonia davanti al Bataclan, dove novanta persone persero la vita.
Il ricordo della Chiesa francese
A rendere omaggio alle vittime e ai feriti sono anche le chiese della capitale francese: tra le 17.57 e le 18.02 suoneranno le campane nella cattedrale di Notre-Dame e delle altre chiese per «invitarci ad unirci tutti insieme in questa stessa preghiera», ha detto l’arcivescovo di Parigi, Laurent Ulrich. Delphine Allaire, dei media vaticani, ha raggiunto al telefono padre Pascal Nègre, parroco della chiesa di Sainte-Ambroise: «La nostra chiesa è qui da 150 anni, a pochi passi dal Bataclan — racconta — dieci anni dopo, le parole di Isaia, “Consolate, consolate il mio popolo”, sono sempre con noi. Vogliamo rispondere alla violenza con la dolcezza, all’orrore con la bellezza». E proprio qui è nata l’idea di una nuit de l’espérance, una notte di speranza fatta di musica sacra, testi e luce: «Molte famiglie, anche non credenti — spiega — ci scrivono per ringraziare il fatto che la memoria resti viva. Temono che al lutto si aggiunga la cancellazione. Perciò questa cappella, questo cielo di candele, per tanti è un luogo irrinunciabile».
La testimonianza dei sopravvissuti
Tra coloro che si impegnano ogni giorno per custodire la memoria del 13 novembre c’è anche Arthur Dénouveaux, sopravvissuto all’attacco del Bataclan e oggi presidente dell’associazione Life for Paris. Ai media vaticani, intervistato da Olivier Bonnel, Dénouveaux confessa come «di tutto ciò che abbiamo vissuto, quello che conservo sono le amicizie. La capacità e la necessità di affrontare insieme anche il peggio. Affidare alla giustizia tutto ciò che riguarda la vendetta ha permesso alle nostre relazioni di restare “pure”». Un ruolo inatteso lo ha avuto la fede, grazie all’incontro con il pastore che celebrò il funerale di un amico ucciso al Bataclan. «Mi ha mostrato una fede intesa come promessa, più che come dottrina. Ho capito l’importanza di una trascendenza a cui aggrapparsi. Non avremo tutte le risposte, ma c’è qualcosa di più grande che ci invita ad avanzare». Proprio come dimostrano i poster che, da giorni, campeggiano in tutta Parigi: “13 novembre 2015 – 13 novembre 2025. Paris se souvient”, accompagnati dal motto latino della città Fluctuat nec mergitur, simbolo di una capitale che seppur ferita non si piega.
(Da Vatican News)






