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Quando da bambini facevamo l’esame di coscienza… Una riflessione sul tifone geopolitico giunto dal nord Atlantico

Negli ultimi anni siamo stati inondati di dati, teorie, preoccupazioni legate ai complessi fenomeni del “cambiamento climatico” che ci avrebbero potuto causare condizioni di inabitabilità di vaste zone del pianeta Terra in tempi futuri ma non immediati. D’altronde, più da vicino anche qualche “cambiamento” poteva arrivare in ambiti geopolitici e nell’aria c’era qualche incertezza per le elezioni presidenziali americane, ma sicuramente eravamo impreparati alle bufere giornaliere scagliate dalla Casa Bianca di Washington con l’insediamento di Donald Trump da fine gennaio 2025. Caos e bufere alimentate da devastanti venti di guerre economiche-finanziarie basate su semplici assioni: ora che facciamo di nuovo grande l’America, all’insegna del M.A.G.A. – Make America Great Again, per compensare i soldi che vi abbiamo dato finora, a voi del mondo veniamo a prendere pezzi del vostro territorio oppure mettiamo dazi pesanti sulle vostre merci, imponendo le nostre condizioni di “pace” in due zone calde di nostro interesse, il Medio Oriente (Palestina) e l’Europa (Ucraina). Progetto chiaro e limpido per un regime di ricconi autocrati, per un sistema forte data la centralità del dollaro nel sistema finanziario internazionale ma anche basato su un alto debito pubblico e sulla speculazione finanziaria…che talvolta gioca brutti scherzi – vedi la “grande depressione” del 1929.

Quel vento di “cambiamento” è venuto a colpire particolarmente l’Unione Europea, in gran parte governata da sistemi democratici, che finora era rimasta sotto lo scudo protettivo degli Stati Uniti, superando la “guerra fredda” con l’U.R.S.S. della seconda metà del secolo scorso e finita pacificamente con la caduta del muro di Berlino del 9 novembre 1989, ma da tre anni impegnata a sostenere l’Ucraina invasa dalla Russia, a sua volta governata dall’autocrate Vladimir Putin.

Certo, i criteri e i principi dell’autocrazia sono molto diversi da quelli della democrazia e così l’Unione Europea oggi tenta di reagire, sostanzialmente per timore di perdere il suo modello di welfare State, cioè di un “modello di Stato che assume la responsabilità del benessere sociale dei suoi cittadini attraverso la fornitura di una serie di servizi e benefici sociali”: un modello che ha garantito 80 anni di convivenza pacifica.

La prima reazione è arrivata dalla Commissione U.E. attraverso il progetto di riarmo da 800 miliardi di euro con l’obiettivo di permettere ai Paesi membri di espandere le loro capacità nel campo della difesa militare nel modo più massiccio e veloce possibile: una votazione che ha scatenato una serie di contro-reazioni sui tanti appuntamenti persi negli anni passati da parte della stessa Unione.

Pertanto oggi il cittadino europeo è costretto a fare il suo “esame di coscienza”… se la produzione industriale si è notevolmente ridotta (con la Germania non più “locomotiva” d’Europa e la Francia in stallo politico interno) perché non è stata definita nel tempo una propria (autonoma) politica energetica e quindi la creazione di un mercato energetico interno? Perché non si è perseguita una politica unica di approvvigionamento delle materie prime, preferibilmente gas rispetto ad altri combustibili fossili, salvaguardando così lo sviluppo della produzione industriale? Perché la corsa a spegnere le centrali nucleari tedesche, costruite con i rigidi criteri di sicurezza occidentale? Perché non adottare programmi di sostenibilità equilibrati nel processo di transizione ambientale? Russia, Regno Unito e U.S.A. come vedono l’Europa? Come un loro forte competitor o piuttosto come uno sbocco di mercato di loro prodotti… anche prodotti che fanno la guerra?

Sicuramente l’Europa ha impellente bisogno di aggiornare le clausole dei suoi Trattati, emessi in tempi ed epoche superate.

Sicuramente è il momento in cui si chiede più unità: quel “più” oggi acquista significati responsabili in termine di maggiore federalismo, per linee ben definite in politica estera e quindi in termini di difesa militare comune: ciò determina la conquista di concreta “sicurezza”, che non fornisca solamente la tutela fisica ma che garantisca uno Stato sociale senza diseguaglianze. D’altronde la partecipazione alla Nato, con l’adeguato grado di coordinamento, offre già sufficiente copertura militare a ciascuno dei suoi 32 Paesi.

Necessità di essere uniti per avere un’Europa che sappia difendere e proteggere i propri valori (…indipendenza di pensiero, coesione sociale, correttezza dei rapporti di lavoro, sostenibilità ambientale non estrema…), insomma un modello socio-politico fondato sulle relazioni tra le persone e non sulla finanza.

In tale contesto europeo l’Italia può dare un contributo essenziale e unificante, facendo valere tutti i principi di libertà e di democrazia contenuti nella sua Carta Costituzionale.

Con queste premesse pensiamo di poter respingere i pur giustificati motivi di “paura” in Europa per l’attuale situazione geopolitica, che sicuramente richiede attenzione- perché basata sullo sfilacciamento del legame sociale- e opportuni tempi di riassetto… anche la minaccia dei dazi è considerata un’arma a doppio taglio… e piuttosto vogliamo ricorrere alla speranza che si trovino adeguate prospettive di dialogo e di negoziato all’insegna di quella maggiore unità, reclamata a gran voce qui a Roma, in una piazza del Popolo stracolma, qualche giorno fa.

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