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Riccardo Arena: «Leggi bavaglio, così smontano pezzo dopo pezzo la libertà di stampa»

Se posso esprimere un’opinione fuori dal coro, non sono poi così sicuro che l’emendamento Costa sulla cronaca giudiziaria rappresenti un bavaglio insuperabile per la stampa, al punto che i giornalisti (è successo in Liguria, succederà altrove) debbano incerottarsi la bocca per denunciare alla pubblica opinione quel che sta accadendo alla nostra professione e in ultima analisi ai danni della democrazia. Questo non vuol dire comunque che ci sia da stare tranquilli o che non sia successo niente. Tutt’altro: qualcosa di grave è successo, ma bisogna vedere bene cosa.

Non entro nel merito delle posizioni dei due fronti contrapposti, entrambi sedicenti europeisti e sostenitori dei valori costituzionali. Qui il problema è diverso e cioè che, se stiamo alla lettera (e allo spirito) della legge, presente e passata, il giornalismo giudiziario in Italia non dovrebbe avere alcuno spazio. Almeno se leggiamo l’articolo 114 del codice di procedura penale, che poi è la norma su cui si vuole intervenire con l’emendamento Costa. In questo modo uno come me (e come tantissimi altri) può scoprire di avere rischiato il bavaglio – non la galera, ché anzi la sanzione è una mezza menata – centinaia, se non migliaia di volte. 

Dovrei qui riportare il testo dell’articolo, che molti commentano senza avere mai letto e probabilmente – in molti casi – anche senza avere mai scritto un pezzo di giudiziaria che sia uno. Non temete: non voglio annoiare più di tanto chi avrà la pazienza di leggermi. Basta dire infatti che, in sostanza, l’articolo 114 CPP vieta praticamente tutto: non si possono pubblicare gli atti coperti da segreto e il loro contenuto, ma nemmeno gli atti non più coperti dal segreto, “fino a quando non siano concluse le indagini preliminari ovvero fino al termine dell’udienza preliminare”, eccezion fatta, appunto, per l’ordinanza di custodia cautelare. La cui pubblicazione ora l’emendamento Costa vuol (tornare a) proibire.

A proposito della possibilità di pubblicare l’OCC va detto che questa norma fu introdotta alla fine del 2017, ma l’entrata in vigore fu a spizzichi e bocconi, più volte rinviata fino al 2020, addirittura ai procedimenti iscritti dopo il 31 agosto 2020. Dunque le nuove regole hanno concretamente esplicato i propri effetti a partire dalla seconda metà del 2020, inizio del 2021. Segno che chi volle quella norma (e oggi torna a volerla) all’epoca così convinto non era.

In ogni caso, con o senza il passaggio sulle ordinanze, resterebbero assolutamente proibiti dall’articolo 114 tutti gli allegati, le informative, gli atti depositati e le ordinanze del Gip e del riesame, le richieste e i pareri del pm, gli interrogatori, le intercettazioni (anche per queste ci sono – teorici – divieti draconiani di pubblicazione), le foto e le immagini, i video, eccetera eccetera. Atti che quotidianamente vengono invece pubblicati, senza alcun problema, ignorando o infischiandosene bellamente di un divieto che nessuno rispetta e che nessuno fa applicare, se non in casi estremi: e purtroppo alcuni colleghi hanno subito inchieste e perquisizioni. A parte questi ultimi casi-limite, però, la giurisprudenza evolutiva, che si adegua ai tempi, riconosce da anni e anni che tutti gli atti a conoscenza dell’indagato o del difensore possono essere oggetto di più o meno libera e illimitata pubblicazione, ciò che consente di avere nel nostro Paese un’informazione giudiziaria, sebbene ancora lo stesso articolo 114 vieti la pubblicazione, “anche parziale, degli atti del fascicolo per il dibattimento, se non dopo la pubblicazione della sentenza di primo grado”… E per non parlare degli atti che si formano nei procedimenti celebrati a porte chiuse, dall’abbreviato ai giudizi su fatti di violenza sessuale, ad esempio. Vietatissimi eppure pubblicatissimi, basta vedere il recentissimo  caso dello stupro di Palermo, che tanto allarme sociale e riprovazione ha suscitato, assieme a un più che legittimo interesse alla conoscenza da parte della pubblica opinione.

Parlare di bavaglio, perché ora si vuol fare (di nuovo) rientrare l’ordinanza di custodia tra gli atti vietati, vietatissimi anzi regolarmente pubblicati, mi pare francamente eccessivo. E però c’è un però. Non è vero che c’è il bavaglio ma non è vero nemmeno che non ci sia. Perché non bisogna parcellizzare ma inquadrare nel sistema, guardare il contesto e il “combinato disposto”. Intanto l’emendamento Costa è comunque un balzello in più, un ostacolo ulteriore per i cronisti giudiziari. Per quanto le norme draconiane siano sostanzialmente disapplicate e puniscano (si fa per dire, le sanzioni sono blande e rarissime) con una contravvenzione per pubblicazione arbitraria di atti di un procedimento penale, c’è comunque una palese volontà di penalizzare ancora di più il lavoro dei giudiziaristi. Perché non c’è solo Costa. Prima ci ha pensato la normativa sulla presunzione di innocenza, che – ad esempio – non vieta affatto di diffondere i nomi di indagati e arrestati, ma che le fonti interpretano in senso restrittivo, per evitare rogne; ora ci sarà con ogni probabilità anche questa regola cervellotica che – come sempre accade nei periodi di proibizionismo – avrà solo l’effetto di “alzare il prezzo” nel rapporto tra fonte e cronista, penalizzando al solito i piccoli a beneficio dei grossi mezzi di informazione e creando, stavolta sì, l’effetto perverso del do ut des per le minuzie. Perché anche l’ordinanza di custodia, pensate un po’, diventerà uno scoop. E che scoop.

L’ulteriore effetto perverso sarà una nuova contrazione delle notizie e dei particolari che finiranno sui mezzi di informazione, con la conseguenza che chi si muove meglio nel “mercato nero” (che brutta espressione: ma è così che finirà) potrà battere la concorrenza; se invece i rubinetti informativi resteranno chiusi per tutti (non è impossibile ma sicuramente difficile, perché atti del genere sono in mano a decine di persone, primi fra tutti gli avvocati, quindi sono ontologicamente la negazione della segretezza), si ricorrerà al sentito dire, alle ricostruzioni personali, se non arbitrarie, insomma sarà un bel papocchio che rischierà di fare più danni all’indagato che non se si scoprissero subito le carte. Il combinato disposto della Cartabia-presunzione di non colpevolezza applicata alla sanfasò e dell’emendamento Costa-ordinanze di custodia applicato da alcune fonti, porterà alla conseguenza che, attraverso canali ufficiali e “certificati”, quindi qualificati e in possesso delle informazioni, non si daranno più i nomi degli arrestati e nemmeno i motivi degli arresti. Con buona pace della libertà e della democrazia e col rischio sudamericano dietro l’angolo: in nome, si badi bene, delle garanzie, l’indagato potrà tranquillamente essere fatto sparire e riconsegnato quando la pubblica autorità lo riterrà. E solo se un procuratore della Repubblica – neocaporedattore centrale – , riterrà di interesse pubblico la notizia del suo arresto. Mentre negli Stati Uniti la polizia mette a disposizione online gli atti delle indagini e i giornalisti, ma non solo, possono andare a consultarli per controllare se i soldi che si impiegano per le forze dell’ordine e la magistratura siano ben spesi. Se poi aggiungiamo le altre norme in discussione, quelle sulle querele (queste sì) bavaglio, le sanzioni pecuniarie più che salate per la diffamazione, la rettifica senza replica, il querelante temerario che non rischia praticamente nulla, il combinato disposto porta a vedere un allargamento a dismisura del fronte che punta a limitare fortemente i giornalisti: non solo quelli che si occupano di cronaca giudiziaria. E questo mentre c’è persino chi si spinge all’escatologico, parlando di certificazione della veridicità delle notizie, evidentemente con un filo diretto col Padreterno di cui non siamo a conoscenza. Ecco, tutto questo mi fa pensare che il bavaglio non sia l’emendamento Costa, ma tutto il complesso: e che in fondo chi oggi fa l’amico dei giornalisti, non troppo tempo fa ci ha messo del suo quasi quanto chi invece si diverte oggi a fare la faccia feroce e a proclamarsi fieramente nemico della stampa e dei giornaloni, che ancora pensa che esistano e invece non esistono più da tempo. Purtroppo. Altrimenti, col cavolo che avremmo il rischio di avere tutte queste norme – in fondo – realmente liberticide.

Scritto da Riccardo Arena, capo servizio Cronaca di Palermo al Giornale di Sicilia – esperto di Giudiziaria – consigliere nazionale ODG, per assostampasicilia.it

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